Intervento dell’On. Gianfranco Morgando a Casale Monferrato il 6 dicembre 2001 nell'incontro sul “Lascito di Paolo Ferraris”

Gianfranco MorgandoIntanto ringrazio dell’invito. Non ho potuto preparare questa riflessione come ha fatto Carlo Beltrame. Ho buttato giù qualche scarabocchio in una pausa di questo lavoro, un po’ Kafkiano che è la preparazione della finanziaria, cercando di aderire al titolo di questo nostro incontro: qual è il lascito di Paolo Ferraris. E ho provato a declinare questo lascito così: qual è il messaggio che ci viene lasciato da questa esperienza per la costruzione di un dirigente politico popolare? Intendo per popolare l’espressione e collegamento con il popolo, anche se Paolo Ferraris è stato con me e con altri il fondatore in Piemonte del Partito Popolare in anni che poi ricorderò brevemente. E mi pare che questa sia un’operazione importante nel momento in cui il bisogno di una classe dirigente, che sia credibile e che abbia radicamento è un bisogno sempre più insoddisfatto sempre più inespresso e probabilmente è una delle ragioni di crisi della politica con cui le società moderne devono confrontarsi. C’è la crisi della politica perché mancano le persone che siano credibili in quanto tali e che facciano politica. Allora io ho provato a declinare il lascito su quattro parole chiave. Ve le metto così come mi sono venute in mente ieri sera.
La prima parola chiave è un po’ strana per i ragionamenti che facciamo questa sera, ma forse non tanto ed è l’amicizia. Io sono convinto che le leaderships vere non nascano nella solitudine; le leaderships, i progetti politici nascono tra persone che stanno insieme, nascono nell’amicizia. Nascono dallo scambio di opinioni di valutazioni, qualche volta anche dal litigio e credo che dalla solitudine nascano non dico gli autoritarismi, ma certo nascano delle personalizzazioni che certo oggi sono uno dei problemi con cui dobbiamo confrontarci. Dall’amicizia invece nasce il confronto, nasce l’elaborazione collettiva, quella che poi diventa progetto, nascono le guide condivise che non rappresentano soltanto se stesse, ma rappresentano altri con cui si condividono opinioni e convinzioni.
Io ho conosciuto Paolo quando (siamo più o meno coetanei) eravamo entrambi piuttosto giovani. Lui era segretario del movimento giovanile della Democrazia Cristiana della Provincia di Alessandria, io mi occupavo del Movimento giovanile a Torino e so che ho partecipato ad un convegno in un paesino dalle parti di Alessandria verso la Liguria, non mi ricordo neanche quale fosse il paese, l’ho conosciuto in quella circostanza. Ci siamo persi di vista per tanti anni; ci siamo visti di nuovo quando lui era Segretario provinciale della Democrazia Cristiana. Ero stato una volta a trovarlo in Alessandria, ci siamo poi incontrati, abbiamo avuto un rapporto duraturo e credo di poter dire di amicizia quando lui è diventato Consigliere Regionale. In particolare come ricordava Carlo Beltrame ci sono stati anni di rapporti più intensi che sono stati gli anni del suo assessorato al Bilancio e programmazione. Io allora facevo come ricordavo il capo di gabinetto del Presidente della Regione, ma direi che il nostro rapporto c’è stato soprattutto negli anni successivi, dopo il 1995 dopo le elezioni regionali che lo avevano visto confermato nelle liste del Partito Popolare. Aimè passato da un gruppo, non mi ricordo più di quanti, ma mi pare da un gruppi di una quindicina di consiglieri a un gruppo di soli tre consiglieri: lui, Saitta e Peano. Io allora ero segretario regionale, ero stato eletto dal primo congresso del Partito Popolare che avevamo tenuto, mi pare di ricordare, poco prima delle elezioni regionale del 1995 o subito dopo, ero stato eletto segretario del partito popolare e insieme, lui capogruppo e io segretario abbiamo avviato un lavoro di costruzione molto complicato dell’esperienza politica in cui credevamo molto.
Oggi stiamo riflettendo sull’esito di questa esperienza, sui suoi limiti ma credo che l’importanza di aver lavorato per ricostruire condizioni nuove della presenza politica di ispirazione cristiana nel nostro paese ritornando alle origini di quel popolarismo sturziano, che era insieme un messaggio di profondo radicamento ideale e di rappresentanza delle esigenze e degli interessi del popolo a partire dai suoi problemi, a partire dai programmi, perché dovevano essere costruiti e presentati, mi pare sia una stagione che dobbiamo ricordare come una stagione importante una delle più importanti stagioni. Io la ricordo come la stagione più creativa della mia esperienza politica che ho fatto fino adesso. Ci trovavamo sovente nel suo ufficio al gruppo regionale e sono nati in questi incontri il convegno di settembre, sono nate la principali decisioni politiche che abbiamo preso: incontri e anche scelte molto difficili, complicate, anche molto drammatiche come quelle di decidere da che parte stare nel momento in cui il Partito Popolare a livello nazionale si divideva e sceglieva, i suoi leader sceglievano vie e strade diverse. Non abbiamo mai avuto in quel momento dubbi perché ci siamo detti molte volte che l’esperienza politica di ispirazione cristiana nel nostro paese era un’esperienza che aveva il suo radicamento in una capacità di svolgere un’azione di trasformazione, un’azione di riforma, di cambiamento. Sentivamo che mai avremmo potuto collocarci su posizioni di conservazione, anche se sapevamo in partenza (in particolare lui lo sapeva, io ero più ottimista sul nostro futuro, lui era molto più preoccupato) che sarebbe stato difficile, che ci avviavamo su un sentiero inesplorato e con compagni di strada con cui non sarebbe stato facile convivere. È stato così, ma certamente quell’esperienza è stata un’esperienza che oggi ricordo con grande piacere, molto volentieri. Credo peraltro che il tema dell’amicizia con Paolo e dell’amicizia come elemento costitutivo della costruzione di un leader politico non vada però coniugata a Torino non vada coniugata in Regione, vada coniugata a Casale. Noi abbiamo una tradizione ed è quella di avere dei gruppi dirigenti come espressione di forti contesto locali. Se io penso al Piemonte mi vengono in mente almeno una ventina di gruppi dirigenti che sono tali in quanto sono espressione di una forte amicizia locale. Mi vengono in mente gli amici di Ivrea, gli amici di Ciriè, parlo di persone che molti qui conoscono, ma potrei continuare nell’elenco. Credo che Paolo come leader politico, come dirigente politico non sia separabile dall’amicizia casalese, non sia separabile da quel gruppo di persone con cui ha iniziato e continuato a riflettere per elaborare e definire iniziative politiche che sono stati, e in qualche modo come per tutti noi sono, l’humus e il punto di riferimento dei momenti di difficoltà, dei momenti in cui bisogna prendere decisioni complicate, nei momenti in cui bisogna farsi aiutare da persone in cui si ha fiducia, con cui si ha un rapporto di amicizia.
La seconda parola che mi veniva in mente e che ha caratterizzato Paolo Ferraris come leader politico è la parola competenza. Voi lo avete conosciuto meglio di me. Paolo non era un generico, come ricordava Beltrame, era uno che si preparava, era uno che si documentava, era uno che scriveva, che preparava personalmente i documenti. Io ho visto come veniva ricordata da vicino la sua attività di Assessore Regionale, in particolare io ho seguito il processo di elaborazione della nuova legge sul personale e avevo seguito un po’ meno da vicino il lavoro di preparazione della legge sulle procedure della programmazione. Allora Paolo aveva portato in questo lavoro l’entusiasmo con cui aveva la conoscenza dei problemi che ribaltava le tradizionali logiche con cui la programmazione piemontese era sempre stata vissuta e che era stata un po’ la programmazione dei grandi scenari dei grandi documenti totalmente slegati dalla realtà dell’amministrazione quotidiana. Ricordo anch’io molto bene, come faceva Beltrame, l’insistenza con cui Ferraris sottolineava l’esigenza di individuare il programma regionale di sviluppo più come quadro di riferimento delle scelte all’interno delle scelte del bilancio regionale che non come mera indicazione delle prospettive di sviluppo della Regione.
Ho il ricordo delle cose anche un po’ curiose. La prima volta che Paolo Ferraris mi ha parlato della legge sulle zanzare devo dire che sono rimasto piuttosto stupito. Io vengo dal canavese, dalla zona collinare verso la montagna, noi abbiamo meno problemi e la prima volta quando disse «Vedi; bisogna fare una legge regionale sulla lotta alle zanzare» gli avevo detto «Ma scusa!» Francamente avevo qualche difficoltà ad immaginare. Vedo oggi invece nelle carte a cui ho dato un’occhiata che questo è considerato un elemento importante della situazione amministrativa. Non è che lo vedo solo qui a Casale. Mi è capitato girando in Piemonte, specie nelle provincie di Vercelli e Novara, di sentir parlare dell’importanza delle legge regionale sulle zanzare, dell’importanza economica, di un’azione di lotta contro questo problema. Quindi la sua competenza era una competenza che sapeva affrontare i problemi generali, ma sapeva anche affrontare i piccoli problemi, quelli particolari. Dov’è nata questa competenza? Perché a me pare che questo sia il problema che dobbiamo affrontare oggi se vogliamo dare una lettura attuale alla riflessione che stiamo facendo. Dove si costruisce oggi la competenza politica? C’erano dei luoghi in cui in passato si costruiva la competenza politica. Ed erano i luoghi che Paolo Ferraris ha attraversato, erano i luoghi dell’associazionismo giovanile, erano i luoghi della politica del partito, erano i luoghi dell’amministrazione locale.
Oggi tutti questi percorsi sono percorsi che in qualche modo non hanno più il significato che avevano un tempo. Oggi c’è l’idea di una competenza politica che si costruisce attraverso le studio, non c’è dubbio che la preparazione personale, la preparazione scientifica siano un elemento importante che concorre a costruire la competenza politica, ma in realtà la competenza politica è quella che si costruisce nella realtà, vivendo i problemi, partecipando nel vivo dei problemi, insieme alla gente, cercando la loro soluzione. In qualche modo la competenza politica è lotta politica. E non si impara né nelle Università né nei licei né nelle scuole di politica che oggi sono diventate un po’ di moda soprattutto nel nostro mondo. Sono cose molto importanti, ma non riusciranno mai ad esaurire il problema della preparazione delle classe dirigente, della nuova classe dirigente politica se non ritorneremo ad ancorare questa preparazione nel vivo dell’azione quotidiana, nei posti in cui la gente vive e credo che noi dobbiamo ritornare a fare una azione di questo genere.
La terza parola chiave che mi viene in mente è la parola radicamento. Io ho sempre vissuto Paolo Ferraris come un casalese in Regione. E questo era per lui, in qualche modo, una ragione della propria identità. Mi ricordo che ne parlavamo molto sovente. Ha sempre sentito di rappresentare una comunità concreta e di provenire da una comunità concreta. Ha sempre sentito di avere grandi responsabilità nelle guida della politica regionale ma il suo radicamento era nella comunità dalla quale lui proveniva. E la ragione della sua azione politica è sempre stata la difesa degli interessi della comunità da cui lui proveniva. Non considerando in contraddizione la difesa di questi interessi rispetto alla difesa degli interessi generali della Regione di cui lui aveva responsabilità. Credo che questo sia un elemento molto importante.
Noi viviamo in tempi in cui il radicamento non è più un elemento caratteristico delle politica di oggi. Le decisioni, se voi guardate la composizione del Parlamento, capite che vengono decise da una ventina di persone che decidono in quali collegi i candidati si devono collocare e se uno viene collocato in un collegio sicuro viene eletto se viene collocato in un collegio non sicuro, fatte rarissime eccezioni, non viene eletto. Così la classe politica viene costruita non più sulla base di una selezione che viene dal radicamento in una comunità, ma si costruisce sulla base della decisione del capo, della decisione di poche persone e questo in qualche modo è l’effetto perverso di un sistema elettorale che era partito proprio dalla esigenza di rappresentare meglio le realtà locali, attraverso una elezione che avesse riferimento con un territorio, con un’area territoriale molto definita.
Oggi riproporre la politica come radicamento nella propria comunità è un’importante questione di rinnovamento. È un importante strumento di rinnovamento della politica. Potremmo fare molti esempi, anche esempi che riguardano la provincia di Alessandria. Di come la nostra parte politica, mi rendo conto di non parlare in una sede di parte, ma in qualche modo abbia delle rappresentanze che provengono da realtà estranee. E ci rendiamo conto in questa situazione che uno degli elementi di rinnovamento della politica oggi è quello di riproporre il radicamento della rappresentanza all’interno delle comunità rappresentate, la provenienza all’interno della comunità rappresentata.
L’ultima parola chiave che mi veniva in mente era la parola concretezza. Paolo Ferraris era estremamente concreto. Perché sapeva affrontare i problemi importanti e i problemi meno importanti, ma soprattutto perché sapeva andare oltre uno dei limiti della nostra azione politica. Che è quello di grandi teorizzazioni che poi non riescono a tradursi nell’azione, nell’operatività e nella decisione concreta. Per lui invece la politica si misurava nella capacità di decidere, nella capacità di fare, nella capacità di realizzare. Anche questo è un elemento importante a cui dobbiamo fare riferimento nel momento in cui pensiamo alla necessità di rinnovare la politica. Questo è un problema che riguarda in particolare noi cattolici. Perché c’è il problema della crisi della politica di ispirazione cristiana.
Mi fermo un momento su questo punto perché mi sembra un punto importante. Quando si dice che la politica è la costruzione del “bene comune”, oppure l’“espressione più alta della carità” si fanno delle affermazioni di principio, diverso è prendere le decisioni nel vivo dei problemi. Ci preoccupiamo troppo poco degli strumenti attraverso cui raggiungere questi obiettivi, dimenticando che la politica è lavorare intorno agli strumenti per raggiungere questi obiettivi. Non proclamare dei fini. Penso a due questioni di cui ricordo di aver parlato con Paolo. La questione del potere. Paolo aveva per quanto io mi ricordi una forte consapevolezza della necessità di gestire il potere per realizzare degli obiettivi, cioè aveva la consapevolezza che è un errore ed è un rischio fortissimo per la nostra cultura, che è un errore demonizzare l’idea del potere ma che occorre invece immaginare come il potere si usa e giudicare come il potere si usa per realizzare gli interessi dei cittadini per cui si vuole lavorare. Paolo aveva la fortissima consapevolezza della necessità di lavorare avendo come obiettivo quello di ottenere il consenso, senza consenso noi non andiamo da nessuna parte, proclamiamo delle idee bellissime, ma non riusciamo ad avere poi la forza degli strumenti per realizzare le idee. Conseguire il consenso vuol dire affrontare il problema di oggi, che è quello di una politica che sia legata al rapporto con gli interessi molto di più di quanto non fosse in passato e cercare di capire come non riusciamo a legare insieme la risposta agli interessi dei singoli con gli interessi generali. Immaginando che il perseguimento degli interessi generali non può avvenire se vogliamo ottenere il consenso attraverso la mortificazione degli interessi dei singoli o degli interessi particolari, bisogna riuscire a costruire una sintesi tra interessi particolari e interessi generali. Allora confrontarsi seriamente con queste questioni, essere concreti così come Paolo Ferraris è stato concreto, ci da un’indicazione per lavorare su queste linee, su queste indicazioni.
Ho detto che avrei utilizzato quattro parole chiave per indicare quelle che secondo me sono le caratteristiche di un dirigente popolare.
Concludo facendo soltanto una brevissima notazione sul progetto politico alla cui costruzione oggi occorre lavorare. Noi ci troviamo qui per capire come la riflessione su quell’esperienza molto importante ci serve per aiutarci a costruire nuova progettualità politica. E quindi ci serve a capire in quali termini, oggi diversi rispetto al passato, si pongono i problemi della politica. Sotto questo aspetto una interessantissima continuità tra l’esperienza di Paolo Ferraris, così come anche l’ho sentita descrivere questa sera e la realtà di oggi c’è. C’è in qualche modo un’anticipazione nell’esperienza che si è fatta in tante parti del Piemonte, non soltanto a Casale, per esempio nel Canavese, ad Ivrea, il rapporto tra sviluppo locale, tra iniziativa locale e politiche generali. È un insegnamento molto importante sulle direzione che noi dobbiamo comprendere per cui dobbiamo lavorare per il futuro.
Faccio anch’io una battuta come ha già fatto Carlo Beltrame sulla globalizzazione. Oggi ci sono due grandi fenomeni da una parte quello della globalzzazione, e dall’altra il grande fenomeno della rinascita del locale. Del ruolo nuovo che le politiche locali oggi hanno in un momento in cui sembra invece che alle dimensioni particolari sfugga il controllo di tutti i fenomeni. Oggi i fenomeni della globaliozzazione e valorizzazione delle scelte che si fanno a livello locale non sono tra di loro in contraddizione anzi sono tra di loro molto legate. C’è come veniva ricordato una nuova centralità del territorio; lavorare sul territorio vuol dire sempre di più riuscire a fare politiche generali e affrontare problemi sempre più numerosi, pensate soltanto a cosa significhino i cambiamenti normativi molto importanti che sono avvenuti in questi anni. Addirittura a livello costituzionale, non è tutto oro quello che luccica. In questi anni c’è stato un trasferimento di poteri dal lvello dello stato nazionale ai livelli locali assolutamente importante e determinante. Pensate a qual è oggi il percorso politico che abbiamo sotto agli occhi. Non si diventa più da sindaci a parlamentari, si passa da parlamentari a Sindaci e non soltanto in grandi centri metropolitani come Torino e Napoli, ma anche in realtà non così grandi e importanti come capoluoghi di provincia di medie dimensioni, ci sono molti miei colleghi che erano parlamentari e che sono diventati sindaci. Un cambiamento radicale nel ruolo che svolgono le comunità locali nei poteri di cui dispongono. È una cosa che percepiamo tutti, nell’importanza straordinaria che oggi hanno anche i Sindaci, i Presidenti delle Regioni, i Presidenti delle Provincie rispetto alle rappresentanze politiche più tradizionali, come quella per esempio del parlamentare. C’è una nuova centralità del territorio ed è sul territorio che si trovano le risposte a una parte dei problemi che si pongono a livello generale; sviluppare un territorio, sviluppare un’area oggi vuol dire contribuire a innescare dei processi che vanno al di là di quest’area. C’è di nuovo l’esigenza di una progettualità locale nella consapevolezza che questa progettualità svolge una funzione importante più ampia e più generale.
Io credo che questa sia una delle cose che Paolo Ferraris ci ha insegnato, che sia uno dei punti da cui possiamo ripartire per ricostruire dignità e credibilità all’azione politica; credo che anche occasioni come questa ci aiutino a capire come possiamo procedere in questa direzione.