Intervento nella seduta del 23 novembre 1993
Le elezioni di domenica 21 novembre sono, dunque, la tappa più eclatante del processo di consumazione del vecchio sistema politico sconfitto dalla sua incapacità di rinnovarsi, di ammodernare lo Stato, di rompere la consuetudine - degenerata negli ultimi anni - di interpretare la politica come un rapporto di scambio a volte anche illecito; è su questa spirale che le regole della democrazia sono diventate discrezionali, che lo Stato sociale è degradato in Stato clientelare, che il debito pubblico è diventato incontenibile se non a prezzo di gravosissimi sacrifici, con l’esito finale che i clienti di ieri sono diventati i più acerrimi nemici di oggi e non solo per la nobile ragione che "tutto era subito".
Su tutto questo è cresciuta una questione morale, come una legittima ripulsa da parte dei cittadini di comportamenti inaccettabili e spesso odiosi, come rifiuto di un sistema istituzionale diventato inefficiente e spesso persecutorio e se qualcosa è ancora auspicabile oggi è che l’azione in corso da parte dei partiti che vogliono cambiare - tra essi la DC - da parte della Magistratura, dei cittadini e delle istituzioni, non si fermi alle porte di nessun santuario e che la rigenerazione del sistema politico sia profonda, duratura e capace di rafforzare la democrazia del nostro Paese e non sia, come a volte temiamo, solo lotta per sostituire potere a potere o solo vendetta e non domanda di giustizia con il rischio che il nuovo sia peggio del vecchio. Questa diciamolo pure - rabbia popolare si è trasformata domenica 21 novembre in un voto che cambierà molte cose anche se il nuovo non è ancora del tutto giunto e quello che in parte si è palesato non costituisce ancora, almeno a nostro giudizio, una soluzione definitiva alla domanda auspicabile che l’elettorato ha voluto esprimere.
(…) Un centro è quindi oggi in dispensabile per la democrazia italiana ed è essenziale che ci sia subito, ma non per essere un cinico punto di equilibrio di potere e nemmeno per essere lo spazio politico “raccoglitutto” che è stato in passato. Il centro deve fornire al Paese un punto di riferimento per una politica moderata capace di coniugare solidarietà ed efficienza e per riportare ad una politica moderata, che non vuol dire tutela di interessi conservatori, ma un modo ragionato di affrontare le questioni, larghe fasce di cittadini, di ceti popolari e di piccola e media borghesia, oggi attratti dalle sirene della radicalizzazione di destra. Forzare i processi di formazione del centro perché non avvengano farà correre gravi rischi a questa fase di transizione del Paese, nella quale il rispetto, la prudenza e la politica delle alleanze possono dare risultati democraticamente più sicuri. E Occhetto compirebbe un altro errore se credesse di poter dividere cattolici e DC. È da Sturzo che sappiamo di non rappresentare tutto il mondo cattolico, ma sappiamo anche che gran parte di esso ha compiuto un cammino essenziale per la democrazia nel nostro Paese con la DC.
(…) Ma si illuderebbe anche chi a casa della DC cercasse, ripetendo in modo simmetrico, ma da altra sponda, il gioco di Occhetto, di convincere il partito ad innaturali confluenze. Le ragioni della sconfitta non sono la non avvenuta collocazione della DC a destra piuttosto che al centro. Le ragioni essenziali sono quarantacinque anni di potere, di cui gli ultimi condotti così male da far dimenticare quelli precedenti che pure avevano fatto dell’Italia un grande Paese.
Su tutto questo è cresciuta una questione morale, come una legittima ripulsa da parte dei cittadini di comportamenti inaccettabili e spesso odiosi, come rifiuto di un sistema istituzionale diventato inefficiente e spesso persecutorio e se qualcosa è ancora auspicabile oggi è che l’azione in corso da parte dei partiti che vogliono cambiare - tra essi la DC - da parte della Magistratura, dei cittadini e delle istituzioni, non si fermi alle porte di nessun santuario e che la rigenerazione del sistema politico sia profonda, duratura e capace di rafforzare la democrazia del nostro Paese e non sia, come a volte temiamo, solo lotta per sostituire potere a potere o solo vendetta e non domanda di giustizia con il rischio che il nuovo sia peggio del vecchio. Questa diciamolo pure - rabbia popolare si è trasformata domenica 21 novembre in un voto che cambierà molte cose anche se il nuovo non è ancora del tutto giunto e quello che in parte si è palesato non costituisce ancora, almeno a nostro giudizio, una soluzione definitiva alla domanda auspicabile che l’elettorato ha voluto esprimere.
(…) Un centro è quindi oggi in dispensabile per la democrazia italiana ed è essenziale che ci sia subito, ma non per essere un cinico punto di equilibrio di potere e nemmeno per essere lo spazio politico “raccoglitutto” che è stato in passato. Il centro deve fornire al Paese un punto di riferimento per una politica moderata capace di coniugare solidarietà ed efficienza e per riportare ad una politica moderata, che non vuol dire tutela di interessi conservatori, ma un modo ragionato di affrontare le questioni, larghe fasce di cittadini, di ceti popolari e di piccola e media borghesia, oggi attratti dalle sirene della radicalizzazione di destra. Forzare i processi di formazione del centro perché non avvengano farà correre gravi rischi a questa fase di transizione del Paese, nella quale il rispetto, la prudenza e la politica delle alleanze possono dare risultati democraticamente più sicuri. E Occhetto compirebbe un altro errore se credesse di poter dividere cattolici e DC. È da Sturzo che sappiamo di non rappresentare tutto il mondo cattolico, ma sappiamo anche che gran parte di esso ha compiuto un cammino essenziale per la democrazia nel nostro Paese con la DC.
(…) Ma si illuderebbe anche chi a casa della DC cercasse, ripetendo in modo simmetrico, ma da altra sponda, il gioco di Occhetto, di convincere il partito ad innaturali confluenze. Le ragioni della sconfitta non sono la non avvenuta collocazione della DC a destra piuttosto che al centro. Le ragioni essenziali sono quarantacinque anni di potere, di cui gli ultimi condotti così male da far dimenticare quelli precedenti che pure avevano fatto dell’Italia un grande Paese.
(…) Il confronto tra partiti non è stato sui programmi, ma sull’immagine, sulle emozioni, e sulla capacità di travestimento. È vero che nell’opinione pubblica è prevalsa la volontà di cancellare una classe dirigente al di là anche di obiettivi meriti attuali. Ma questo processo non può continuare: l’opinione pubblica ha il diritto, ma anche il dovere, di scegliere progetti e programmi, e i partiti, quando sarà esaurito il fascino e la rendita di posizione del termine “nuovo” e dei suoi surrogati, dovranno ritrovare le ragioni della propria identità attorno ai contenuti e ai metodi di governo. Allontanare una classe dirigente delegittimata, avendo il consenso dei mass media, può essere facile; governare un Paese può diventare un’impresa molto difficile se non si sa dove andare. In questo contesto il centro assolve un ruolo essenziale nella transizione al nuovo sistema politico perché ne prepara il compiuto sviluppo bipolare e può fermare la disgregazione nazionale proposta dalla Lega o il ritorno al passato del Movimento Sociale. La sinistra si illuderebbe se pensasse di fermare da sola Lega e Movimento Sociale e compirebbe un errore Occhetto se cercasse di lacerare il processo in atto di formazione del Partito Popolare e del centro sperando con ciò di cogliere qualche beneficio peraltro solo transitorio.