Intervento nella seduta del 22 giugno 1993

L’economia mondiale vede l’esaurirsi della spinta del “blocco industriale” che l’aveva caratterizzata in questo secolo e che ne aveva determinato i livelli di occupazione, di istruzione e di urbanizzazione; motivo principale di questo declino l’internazionalizzazione dell’economia ovvero il trasferimento delle produzioni verso Paesi a salario più basso. I Paesi ad elevato costo del lavoro come l’Italia possono avere futuro solo aumentando la qualità del prodotto, portandosi nella fascia alta del mercato con produzione manifatturiera ad elevato valore aggiunto. Tutto ciò comporta però grandi investimenti nella ricerca, nell’innovazione e nella formazione.
Germania e Giappone attualmente sono i Paesi più attivi in questa direzione ed è questo il cuore della ricetta che Jacques Delors ha proposto alla Conferenza di Copenaghen per combattere la grave recessione che sta provocando venti milioni di disoccupati in Europa. Dietro questo settore di tecnologia avanzata si svi­luppa un terziario non qualificato, dal turismo ai servizi sociali, in forte espansione anche per rispondere alla crisi di organizzazione sociale indotta dalla contrazione del “blocco industriale”. Anche questi processi di trasformazione richiedono una formazione professionale radicalmente diversa, di tipo permanente, per accompagnare lavoratori maturi da un settore all’altro.

(…) Investire in intelligenza, in cultura e in informazione universitaria, informazione in generale, diventa, più che una componente dell’auspicata ripresa dello sviluppo del Piemonte, una indispensabile precondizione. Questo può avvenire anche attraverso una selezionata ripresa dei flussi migratori, non di forze dequalificate professionalmente, ma di lavoratori in possesso di requisiti di elevata specializzazione. Ma è evidente che in questo settore il compito della Regione è decisivo. Con risorse dirette o con un’ancora più intensa utilizzazione del Fondo Sociale Europeo è necessario incrementare la formazione professionale, sia di secondo grado che permanente.

(…) Il terzo nodo da sciogliere riguarda i forti squilibri territoriali di sviluppo economico che si sono affermati all’interno della Regione e che stanno creando aree segnate da ritmi di forte declino e quindi di freno all’intera regione. I dati confermano come la provincia di Alessandria in assoluto, la provincia di Torino, anche che per la grandezza e la funzione strategica, ed infine quella di Vercelli - seppur meno - sono le province più duramente colpite dal declino.
Negli anni che vanno dal 1980 al 1990 Alessandria perde il 6,48% della popolazione, Torino il 4,93%, Vercelli il 5,70% contro il 4,21 % del Piemonte.
Sul fronte occupazionale Alessandria perde il 10,36% degli addetti, Vercelli il 6,59% e Torino il 5,23% contro la media regionale del 4,37%. (…) Consentire l’indebolimento del cardine della Regione, Torino, e di un’area strategicamente utile per costruire raccordi con la Liguria, l’Emilia e Lombardia, è un grave errore se si vuole mantenere in corsa il Piemonte.